ANTONIA TRUPPO: “FOLGORATA DAL TEATRO QUANDO AVEVO SEDICI ANNI. DECISI CHE ERA LA MIA VITA”

Vera, intensa e innamorata, fin da ragazzina, di un lavoro che è parte integrante della sua vita. Antonia Truppo, premio Ubu per il teatro e David di Donatello per il cinema, è stata una delle protagoniste del Workshop +18 di #Giffoni53.

Vera, intensa e innamorata, fin da ragazzina, di un lavoro che è parte integrante della sua vita. Antonia Truppo, premio Ubu per il teatro e David di Donatello per il cinema, è stata una delle protagoniste del Workshop +18 di #Giffoni53. Alla platea di ragazze e ragazzi ha raccontato i suoi esordi: “Già quando avevo sedici anni mi piaceva scrivere storie, anche assurde o drammatiche mentre restavo chiusa nella mia cameretta a fantasticare – ha detto – Iniziai ad andare a teatro e rimasi folgorata. Capii che quella era la mia strada e mi dissi che se non ci fossi riuscita sarei stata infelice per tutta la vita. Così, a diciotto anni e un giorno, mi iscrissi a una scuola di recitazione gratuita, perché i miei genitori non erano particolarmente propensi ad assecondare questa mia scelta. Da lì è poi iniziato un percorso di formazione che mi ha visto per ventidue anni sul palco tra tournée molto lunghe, intervallate da film. Poi sono arrivati Diego e Alice, i miei figli e ho iniziato a rallentare il ritmo frenetico per poter stare più tempo con loro”. Il debutto sulle tavole di legno è stato con Carlo Croccolo. Poi Filippo Dini, Fausto Paravidino, Carlo Cecchi. Sul grande schermo il primo ciak è con Antonio Capuano con cui gira Luna Rossa: “Antonio è una persona straordinaria e anche un po’ matta. Credo che artisti così abbiano veramente un valore aggiunto e poi è stato grazie a lui se ho conosciuto Carlo Cecchi, il mio maestro a teatro”. Ed è il teatro che continua a scorrerle nelle vene come palestra di vita: “Dicono che a teatro ci si faccia le ossa ed è assolutamente vero. È un percorso di formazione completo, fondamentale per un attore”. Al cinema ha dato corpo e voce a tante figure femminili molto diverse tra loro. “Lo spazio bianco di Francesca Comencini, tratto da un libro della scrittrice napoletana Valeria Parrella parlava di donne che si ritrovano ad accudire dei neonati prematuri in un luogo sospeso, fuori dal tempo, che per certi versi ricorda il nostro lockdown, quando era meglio non ricevere notizie temendo che fossero negative. Il mio è un personaggio leggero, serviva a bilanciare la narrazione”. In Indivisibili di Edoardo De Angelis, il film che lo ha reso celebre in tutta Italia, ha imparato una lezione: “Ad un certo punto della vita capita che sia necessario andarsene. Da un legame, da una situazione. È infatti una straordinaria metafora della necessità della separazione che sembra una cosa negativa, ma alla fine può diventare fondamentale per creare una identità specifica della persona”. Accompagnata da Andrea Contaldo del team di Giffoni, Antonia Truppo è stata poi sollecitata dalle domande dei ragazzi a intervenire sullo stato di salute di cinema e teatri: “Quest’anno ho visto le sale vuote e i teatri pieni – ha commentato – Ma è anche vero che il teatro non può ritenersi del tutto al sicuro, nel senso che dovrebbe ammettere le sue colpe. Ci sono stati lunghi anni in cui il pubblico dormiva e si sperperavano soldi in produzioni che nessuno riusciva a comprendere. Invece una piece deve essere sempre pensata e realizzata per una platea altrimenti non ha alcun senso. Diciamo che abbiamo pagato lo scotto di politiche culturali che si sono disinteressate della gente e ora dovremmo combattere una rivoluzione culturale per invertire questo trend. Se ci ragioniamo questo festival è un esempio virtuoso, perché dopo tante edizioni trova sempre la forza per rinnovarsi e per dare centralità a voi giovani”.

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