Quattro storie di altrettanti ragazzi salernitani. Quattro storie di uomini e donne che hanno lasciato la propria terra per lavoro. Quattro storie di successo raggiunto lontano, molto lontano, dall’Italia. Sono le storie di Pedro Mari, Diego Dati, Carlo Loffredo, Benedetta Paravia.
Quattro storie di altrettanti ragazzi salernitani. Quattro storie di uomini e donne che hanno lasciato la propria terra per lavoro. Quattro storie di successo raggiunto lontano, molto lontano, dall’Italia. Sono le storie di Pedro Mari, Diego Dati, Carlo Loffredo, Benedetta Paravia. “Questo è un incontro – spiega il fondatore e direttore del Giffoni Film Festival, Claudio Gubitosi – che abbiamo voluto organizzare per narrare storie di successo, di fatica, di scelte. Scelte anche dolorose nel lasciare la propria famiglia e il proprio Paese. Queste sono persone più conosciute fuori che nei luoghi in cui sono nati e cresciuti”.
Sono storie tutte diverse quelle dei quattro salernitani che si raccontano ai giffoner della Impact! Pedro Mari, Diego Dati e Carlo Loffredo, oltre che dall’essere salernitani, sono accomunati dall’essere amici fin da piccoli. Un’amicizia che non si è persa malgrado ognuno conduca la propria vita in parti diverse del mondo. Pedro Mari è designer di prodotti digitali interattivi in California. Vi è arrivato dopo aver studiato a Milano ed essere stato in Inghilterra a lavorare come artista.
Diego Dati, in collegamento da Shangai, vive in Cina ormai da 14 anni. “Venni in Cina 20 anni fa – racconta – Ci venni per uno stage perché praticavo arti marziali”. Gradualmente, la sua vita è cambiata, approdando al cinema. Dapprima come stuntman, poi come attore. “Spesso – racconta – sono l’antagonista principale, faccio la parte del cattivo”. Dunque, in Cina non c’è più solo da “combattente, ma anche da attore”. Ha partecipato, tra l’altro, al film che ha fatto il record di incassi in Cina.
Carlo Loffredo, classe 1985, dopo aver imparato dal padre l’arte della fotografia e aver studiato musica classica, “a un certo punto – racconta – non sapevo più cosa volevo fare, e così andai via di casa”. A emergere è la passione che sin da piccolo aveva per i cartoni animati. “Ho iniziato a lavorare in piccoli studi in Italia, poi in Inghilterra”. A Londra ha lavorato a film di animazione come, tra gli altri, Il libro della giungla. Dopodiché, dice, “fui chiamato da uno studio di animazione in Canada, dove vivo. Ho lavorato a una miriade di film blockbuster”.
Benedetta Paravia vive a Roma da quando aveva 8 anni. Artista poliedrica, autrice, creative producer e filantropa Benedetta Paravia (conosciuta anche come Princess Bee) è tornata in Italia dagli Emirati Arabi Uniti, dove lavora creando un ponte tra Medio Oriente ed Europa attraverso la cultura, la formazione universitaria, le canzoni, i libri, i programmi televisivi e cross mediali al femminile, le sfilate, le mostre d’arte e la solidarietà. Ha da poco lanciato una mini collezione nei negozi Yamamay dedicata al colore della pelle di ogni donna. Laureata “ob torto collo in giurisprudenza, mi sono innamorata di Dubai durante una vacanza. Me ne sono innamorata perché lì si dà spazio ai giovani. Quel Paese era il futuro per me. Lì ho fatto mille esperienze”.
Diverse le domande dei ragazzi, a iniziare dal perché “è ancora così necessario dover scappare dall’Italia per fare carriera”. In ballo anche la questione legata a quanto il privilegio economico e sociale sia importante per andare via. “La mia esperienza è privilegiata – spiega Paravia – perché sono nata in una famiglia di imprenditori. Ma a Dubai sono arrivata per caso: è stata una vacanza che mi ha fatto provare felicità. Mentre in Italia piangevo un giorno sì e un giorno no, in quel Paese ho iniziato a sentire me stessa felice”.
Diversi i casi degli altri tre salernitani. “Nel mio caso è l’opposto di Benedetta – spiega Mari – Io ho origini abbastanza umili. Ci ho messo passione e lavoro. Queste sono le cose che mi hanno fatto notare dall’estero. Sono stati loro a chiamarmi”. Per Loffredo, “bisogna pensare ogni giorno a cosa si può fare, senza fare paragoni con le esperienze di altri”. Dati, dal canto suo, spiega: “Per me la questione è sempre l’amore per quello che si fa. Nel mio caso le cose sono venute da sé. La mia ricerca era quella di un posto dove avere la massima sfida nel campo delle arti marziali. La possibilità economica, invece, non deve essere per forza così alta. In Cina ci sono venuto con pochi mezzi. Quando mi sono laureato, la Cina mi ha garantito una borsa di studio”.
Il messaggio che viene fuori è di speranza. E di attaccamento, nonostante tutto, alla propria terra: “Si fanno tanti compromessi e sacrifici nell’andare via – conclude Mari – Ma io sono legato alle mie origini e cerco di applicare gli insegnamenti e la cultura del mio Paese nel lavoro che faccio”.