I giurati della categoria Generator +13, in Sala Truffaut, affrontano una storia sulle montagne russe, dinamica, fatta di tagli, stravolgimenti e continui cambi di prospettiva. Che cosa scruta, indaga e vuole comunicare la regista Zara Dwinger?
“O tutto o niente, Kiddo. Nella vita funziona così”. Karina è una donna che vive a mille all’ora. Alla figlia ripete spesso “forse ho esagerato”, ma si nutre di esagerazioni e tutta la sua esistenza è una vertigine, un turbine. Non può farne a meno, la normalità non le appartiene: sale sui camion per vedere il panorama; getta il telefonino dall’auto in corsa “per stare solo con te, Kiddo”. Le dice anche “sono pronta” quando si presenta sull’uscio della casafamiglia che ospita la figlia ma poi l’avverte: “Siamo in fuga, direzione Polonia”. La regola è l’assenza di regole. Non c’è una traccia, si vive a braccio. I giurati della categoria Generator +13, in Sala Truffaut, affrontano una storia sulle montagne russe, dinamica, fatta di tagli, stravolgimenti e continui cambi di prospettiva. Che cosa scruta, indaga e vuole comunicare la regista Zara Dwinger? “Insieme alla co-sceneggiatrice Nena van Driel raccontiamo la storia di un genitore eccentrico e non convenzionale – spiega – Volevamo esplorare la reazione di un bambino davanti ad un genitore del genere: è un quadro complesso e talvolta deludente ma per paradosso così folle da poter arricchire la sua vita”. Quindi la storia è scritta dal punto di vista della bambina, con i suoi occhi e dalla sua prospettiva. È una storia di donne e di sottili equilibri. È possibile, infatti, anche vedere il film dalla prospettiva della madre. La regista studia molto spesso le donne emarginate: rappresentano un tratto ricorrente del suo lavoro. Sono alla ricerca di un equilibrio mentale e il regista indaga sull’impatto che questa faticosa ricerca ha sulla relazione figlio-genitore. Prospettive, orizzonti, schemi mentali, metri di valutazione e giudizio cambiano spesso in questo film ma forse nella trama e nella storia di KIDDO non ci sono mai stati. Accade, ad esempio, che Karina abbia una fortissima crisi: rischia di abbandonare la figlia in una landa desolata, sulla strada verso la Polonia “perché ci ho provato ma non sono ancora pronta, non so fare la mamma”. È la scena di forte impatto emotivo, forse la più forte: pure KIDDO getta via il telefono e nel pronunciare al vento la frase “o tutto o niente” sa che per tuffarsi in un folle quanto dovuto, viscerale e naturale amore figlia-mamma rischia di rinunciare all’ultima possibilità di riallacciare i rapporti con la casafamiglia, l’ultimo briciolo di sicurezza. Ma non è questa la boa alla quale vuole appigliarsi. Karina, che imita le celebrità di Hollywood, ha bisogno di lei. Viaggiano con un serpente all’interno dell’auto. Poi un’auto non ce l’hanno più: esploderà in una tragicomica scena di fiamme e fuochi d’artificio. “È un film psichedelico – dicono i giurati alla regista, nel dibattito che fa seguito al film – ci ha travolto e conquistato”. Qual è il tempo del film e l’ambientazione? “La mia idea era che fosse senza tempo – risponde la regista – Volevo che il mondo di Karina fosse indefinito”. La madre non lavorava ad Hollywood. Dov’è stata Karina e perché ha dovuto trascorrere tanto tempo lontano dalla figlia? “Credo che Karina sia stata un po’ ovunque, in tutti i luoghi. È evidente che abbia avuto problemi mentali. Non lavorava affatto oppure ha svolto piccoli lavori, passando da una cosa all’altra. È perfetto che il pubblico sia confuso nel rapportarsi a Karina: usate la vostra immaginazione”. “Se sei un genitore che ha un disturbo come Karina – spiega l’attrice protagonista – non ti soffermi sui suoi disturbi ma sulla relazione. Questo ha fatto Lu, la bambina, la figlia. Nel mio caso, non ho pensato ad una persona malata ma solo a recitare i suoi comportamenti. Karina è una donna che ha tanti problemi ma che ha anche tanto amore e fa il proprio meglio per stare insieme alla figlia”.